L’uomo della Castagne

L’uomo della Castagne

A volte ci sono dei romanzi di grande successo che quando arrivano alla trasposizione cinematografica possono avere una seconda vita, forse anche più interessante della prima. È il caso della Serie Netflix in sei puntate “L’uomo delle Castagne”, tratta dall’omonimo romanzo di Soren Sveistrup.

Siamo in un tranquillo sobborgo di Copenaghen, dove in un parco giochi in una ventosa mattina di ottobre la polizia scopre una giovane donna brutalmente assassinata e senza una mano. Accanto al corpo, c’è un omino fatto di castagne. Il caso è assegnato alla giovane detective Naia Thulin e al suo nuovo e temporaneo partner Mark Hess, un poliziotto che ha avuto dei problemi nell’Interpol e viene rimandato in Danimarca per un periodo di sospensione.  La coppia ben presto scopre sull’omino una prova misteriosa che lo collega a una ragazza scomparsa un anno prima e creduta morta, la figlia della politica Rosa Hartung.

Ci sono diversi aspetti che meritano di essere sottolineati in questa serie, partendo dal rapporto conflittuale tra i due poliziotti, dovuto al disinteresse di Hess nella prima fase delle indagini. Sarà però la sua testardaggine e il suo fiuto a metterli sulla pista giusta. Come piace a noi appassionati di slow thriller, la vita personale dei due irrompe e accompagna la vicenda della trama principale, nella persona della figlia di Naia che non capisce perché la madre sia sempre assente e la lasci con il nonno, e nel drammatico passato della famiglia di Hess.  

Interessante pure il rapporto tra politica e polizia. Con i vertici di questi ultimi che sono disposti a chiudere degli occhi su delle prove per non mutare equilibri più grandi di loro. L’evoluzione del personaggio di Rosa Hartung è emblematico. Voleva mettersi il passato alle spalle, convinta che la ragione l’avrebbe riportata al suo ruolo di ministro, lenendo le ferite per la scomparsa della figlia, ma poi il cuore della madre e i sentimenti prendono il sopravvento.

C’è poi il tema di fondo che sta tanto a cuore all’assassino: chi può dirsi veramente una buona madre?

È una serie che ci sentiamo di consigliare e se volete recuperare il romanzo, meglio ancora. Quest’ultimo è scritto in modo molto asciutto, con capitoli corti densi di dialoghi e azioni. Uno stile che potremmo definire cinematografico, ma, nonostante le quasi 500 pagine, riesce a tenere sempre alta la tensione, salvo qualche passaggio forse non chiarissimo. La capacità dell’autore di descrivere la violenza senza fronzoli appare in certi punti quasi ostentatamente horror. Nel complesso si tratta di un gran bel poliziesco, robusto e piacevole.

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